Abbiamo
le nostre cose: fatte di carta, sogni, idee, metalli e leghe, legno e ferro,
carne e cuore, braccia, mani, volti, curve come i fianchi e dritte davanti agli
occhi come un obiettivo stabilito da tempo e raggiunto con un balzo - PINK IS
RED!
Esposizione collettiva dei lavori selezionati
dal bando di concorso PINK IS RED!
a cura di Cartastraccia
Inaugurazione
sabato 19 maggio, ore 19
Notte dei Musei 2012
BlackMarket
Monti, via Panisperna 101, 00184 Roma
Orario di visita: dal martedì alla domenica a
partire dalle 18.00
Ingresso libero
catalogo a cura di Cartastraccia
Ventidue
opere selezionate dalla giuria composta da Maria Pina Bentivenga, Elisabetta
Diamanti, Silvia Garrone e Marie Rebecchi.
Fotografia Emanuela
Barilozzi, Giulia Della Torre, Arianna Lodeserto, Alessia Massa, Marianna
Mazzetta, Cecilia Milza, Danilo Paganelli.
Grafica d'arte
Lisa Borghese, Augusta Cyrillo, Gomez, Wilma Delfini, Beatrice Petrecca, Mimma
Maspoli, Chiara Perrone, Benedetta Rizzo, Lola Rojo, Silvia Sala e Samantha
Tistoni.
Illustrazione
Isa Fontana e Hudesa Kaganow.
Pittura Aster Campanelli, Nanni Riccobono e Giorgio Rinaldi.
Come
ospiti Cartastraccia, l'esposizione presenta le opere di cinque artisti Fuori
Concorso: Maria Pina
Bentivenga, artista incisore e insegnante, nata nel 1973 a Stigliano (MT);
Gabriella Caponigro,
giovane fotografa nata nel 1985 a Roma; Elisabetta Diamanti,
artista incisore e insegnante nata a Roma nel 1959; Hassan Vahedi, pittore, scultore e
incisore nato a Tehran nel 1947; Leyla
Vahedi, giovane incisore nata a Terni nel 1984.
approfondimenti
e contributi
Il problema di
che cosa vogliamo, oltre a uno spazio sicuro, è cruciale per capire le differenze tra una
denuncia individualistica e inefficace, e un movimento collettivo ...
Virginie Despentes
La storia è la
sola insegnante, la rivoluzione la sola scuola! Rosa Luxemburg
Prendiamoci
allora il nostro posto senza aspettare d'averlo! Louise Michel
ABBASSO L'ARTE
COME SPLENDIDO SPRECO NELLA VITA SENZA SENSO DEI RICCHI! ABBASSO L'ARTE COME
INSOLENTE PIETRA PREZIOSA NELLA VITA SQUALLIDA E BUIA DEI POVERI! ABBASSO
L'ARTE COME MEZZO PER EVADERE DA UNA VITA PRIVA DI SENSO!
Alexandr Rodchenko
Intento del concorso è stato chiamare gli artisti a
riflettere, giocare e confrontarsi con la dirompenza del discorso femminile,
ovvero di genere, nella vita di tutti i giorni, sociale e politica. Il progetto
PINKISRED! ha l'ambizione di creare una rete di collaborazioni in prospettiva
della costruzione di un manifesto, una ridefinizione della linea radicale
dell'arte di genere. Rimane l'imperativo di V. V. Majakovski: «L’arte non è uno
specchio in cui riflettere il mondo, ma un martello con cui scolpirlo!»
Il centro di questa linea radicale, da cui partono infinite
possibilità tangenziali e creative, è il nesso tra femminilità e lotte delle
donne, lotte che sono in parte le stesse degli uomini, in parte le loro,
esclusivamente loro, lotte. Il nodo è infinitamente complesso, la creatività
permette allora di dar forma anche ai temi più intricati. Il concorso è stato
pensato come occasione per raccogliere immagini, frasi e pensieri che parlino
di questo mondo articolato di storie, personali e collettive, di donne che
lottano.
Quello che conta è in fondo, più di ogni altra cosa, che le
donne sappiano che c'è una storia di
genere, una storia di donne, arcinote o perfette sconosciute, che sta alle
nostre spalle. Occasione per parlare delle donne in lotta al di fuori della
logica, figlia di un discorso vittimizzante e marginalizzante, delle
"quote rosa": spazi concessi, quote di potere di un sistema
gerarchico nel quale non ci riconosciamo e che contestiamo radicalmente, con
ogni mezzo a nostra disposizione.
PINKISRED! si colloca nel solco di un lavoro avviato da
tempo, come donne, come militanti e come collettivo di analisi sul rapporto tra
genere e controllo. Un lavoro nato da un’urgenza e, insieme, sguardo su un
passato riscoperto come presente, eredità viva. Era stata infatti la seconda
ondata del femminismo, quello della fine degli anni Settanta, a denunciare un
reflusso: le donne, una volta conquistati i loro diritti all’interno delle
società capitalistiche attraverso la critica al patriarcato, si accoccolano nel
bozzolo delle conquiste, e le rivendicano: ma anche a danno di altre donne, di
condizioni e classi differenti. Adrienne Rich, per esempio, parla di “nate
libere” riferendosi alle donne con la valigetta da manager della middle-class. Donne che «si riadattano
al ruolo di passività imposto dal patriarcato, in una nuova forma di privilegio
da cui escludere, attraverso nuove forme di sfruttamento, altre tipologie di
donne, le donne povere, le donne nere, le donne lesbiche, le donne cicane, le
donne non rispettabili, le prostitute». Analizzando le retoriche securitarie -
negli anni passati - abbiamo cercato di evidenziare la loro tendenza a
riproporre una logica classista mascherata. Ribadendo quei punti fermi che le
donne avevano posto a barricata contro un dispositivo che annoda
indissolubilmente patriarcato, capitalismo, retorica della sicurezza: NON SUI
NOSTRI CORPI! Perché sui nostri corpi, sfruttando gli episodi drammatici degli
stupri e delle violenze e attraverso le retoriche della donna da difendere e
gli slogan sessisti che ripropongono l’immagine della vittima, è stata
avvallata una politica di militarizzazione, di pervasività del controllo.
Mentre le donne hanno sempre lottato, e lottano, contro ogni sfruttamento, e
anche contro lo sfruttamento retorico del proprio corpo, contro l’immagine stabilita
per loro dal potere maschile. E allora, citando Rich, è necessario ribadire
sempre di nuovo l’urgenza di questa lotta, per non lasciare spazio alle
retoriche della neutralità e della trasversalità, dei valori universali e
condivisi dalle destre e dalle sinistre. è
per questo che il nostro percorso ha intrecciato un discorso che viene dal
mondo del femminismo come una pratica di resistenza. Una storia che porta sul
suo corpo cicatrici, che raccontano la critica a ogni forma di imposizione
gerarchica basata su discriminazioni ideologiche.
«Le streghe son
tornate! riprendiamoci la notte! non sui nostri corpi!»: che spazio ha
il discorso femminista nell’ambito della vita quotidiana di una donna oggi,
nelle nostre “democratiche società”? Quali risposte al bombardamento retorico e
di immagini (propagandistiche o pubblicitarie, se poi c’è una differenza) che
ogni giorno entra nelle nostre vite, nelle nostre case, sul posto di lavoro,
sui giornali, sui muri? C’è un nesso tra l’abuso della parola “degrado”, usata
per nascondere tutto ciò che non si vuole vedere o che intralcia irrinunciabili
progetti economici e il degrado, quello sì reale, dei prodotti di ogni genere (dai cartelloni pubblicitari,
ai talk-show politici, a tanta
cosiddetta arte) che siamo quotidianamente costretti/e a subire?
Attendiamo le risposte inattese che talvolta le immagini
sanno restituire, nel loro porsi come nodi indissolubili tra l'intimità
dell'elaborazione personale dell'artista e l'urgenza del loro voler dire. Il
privato è politico, un famoso slogan dei femminismi d'altra generazione, tenta
qui di emergere, dicendo qualcosa delle donne, delle lotte e dell'arte, oggi.
«Pink is red! Una
copula, due colori, un punto esclamativo. La copula, si direbbe, è il cuore del
problema: tra rosso e rosa «il n’y a pas de rapport sexuel». Aldilà della celia: la scelta politica è
esposta e custodita nel segno di interpunzione. E in quell’affermativo ! c’è
tutto il margine dell’experiri
artistico. I colori sono la sfida al nostro daltonismo morale: il double
bind irreconciliato [...] C’è «traffico
agli incroci»: il rosa, il rosso (almeno). La sociologia del diritto femminista
americana – questo problema (e il suo tentativo di soluzione) – lo chiama
intersezionalità. La classe, da un lato; il genere, dall’altro. Si potrebbero
aggiungere la razza e il sesso, a complicare la faccenda. L’intersezionalità è
quell’invenzione teorica che pluralizza gli assi di subordinazione in virtù di
una parallela pluralizzazione della dimensione identitaria [...] L’intersezionalità
raffina l’analisi e complica il quadro: quello dell’identità, quello dei
vettori del dominio, quello delle forme di resistenza. Per ovviare a queste
cascate gerarchiche l’intersezionalità sposta in avanti il problema e propone
alleanze e solidarietà inedite. Pink is red! enuncia (performa) l’intersezionalità e la disloca sul terreno
dell’arte. Arte rossa e rosa: di donne e di classe. Ma bisogna che la copula
diventi anche congiunzione coordinante copulativa; bisogna cioè transitare
dall’ontologia alla politica. Passando per l’estetica: fare a pezzi
l’eteronormatività con l’arte. L’intersezionalità aiuta a vedere che colore può
venir fuori mescolando sulla tavolozza della pratica politica il pink con il red» da: Marie Rebecchi e
Michele Spanò, PINK IS RED!: un micromanifesto queer.
«La categoria
sessuata, il genere, è determinante, si chiede Françoise Collin, nella
creazione artistica? Sostenere che l’arte delle donne è femminista, significa
stabilire un nesso inscindibile tra opera d’arte e atto politico o, se si
vuole, mettere in luce il potenziale politico inscritto in ogni opera di donna
in quanto opera di trasformazione. Il primo imperativo di una politica
femminista dell’arte è dunque di sostenere lo sviluppo, la presentazione e
l’affermazione delle opere di donne non solamente attraverso un lavoro di
storicizzazione e di memoria, ma sostenendone l’emergenza. Il progetto di Pinkisred! realizza quest’emergenza» da: Mara Montanaro, Contribution pour PinkisRed!
«C’è un nesso tra
violenza securitaria e oppressione di genere? Questo legame dice qualcosa di
essenziale per l’analisi dell’orizzonte politico col quale ogni agire
antagonista e ogni pratica di resistenza deve misurarsi? Ha senso, e quale,
parlare oggi di lotta di genere? Pensiero e azione di genere possono essere
efficaci nell’ottica di una ricomposizione di classe? Quali sono gli ambiti in
cui è più urgente agire come soggettività politica femminile? Sotto le spoglie
di un ordine discorsivo liberista: esistono le donne emarginate, le madri
cattive, quelle che non sanno fare buon uso della libertà che è stata loro
concessa. Dall’altra invece ci sono le donne (madri, figlie, sorelle) da
difendere, quelle "tutelate" e "rispettate” perché perfettamente
adeguate alla società liberista dei consumi, dell’autorealizzazione,
dell’individualismo. Da una parte la marginalità da stigmatizzare, dall’altra
il privilegio da tenere stretto. Di fronte a tutto questo, i femminismi della
differenza sembrano aver perduto la loro capacità critica e la loro efficacia
ripiegandosi su pratiche spesso solo provocatorie. E d'altro canto, la
centralità che la questione femminile assume per il potere, come uno dei
terreni privilegiati su cui impostare le tattiche dello sfruttamento e del
controllo, dimostra come essa sia un anello fondamentale della catena»
ProgettoBeta, Roma-Firenze 2009.
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