10 feb 2012

Un post disorganico su web comics, inventiva e lievi imperfezioni

Sto cercando di raccogliere materiale per un post dedicato ai web comics. Navigando e leggendo opinioni, esperienze, materiale eterogeneo, ho finito per divagare dall’obiettivo primitivo e ho deciso di esprimere una considerazione su una tendenza sintomatica dei web comics, ma altrettanto insinuata in un certo tipo di narrazione a fumetti minimalista. Ma andiamo con ordine.

I web comics non sono un fenomeno nuovo, sono semplicemente in espansione.
Dal punto di vista tipologico si passa da strisce brevi, a vignette singole, a studi preliminari per lavori in via di composizione o pubblicazione, fino ai diari a fumetti.
Sono proprio questi ultimi che mi inducono a riflettere su un approccio che sta saturando i contenuti e non solo quelli dei fumetti: l’autoreferenzialità.
Ora, chi mi legge e ha letto anche gli scorsi post penserà che io stia mancando di coerenza: dopo aver cantato le lodi del romanzo di formazione a fumetti, autobiografico e/o connesso alla realtà, perché mi metto a criticare l’approccio autoreferenziale?
In realtà i romanzi precedentemente trattati avevano tutti la caratteristica comune di esagerare alcuni aspetti della realtà o dell’autobiografia attraverso escamotage: la caricatura, la sottotrama horror, lo sdoppiamento dimensionale tra cronaca quotidiana e immaginazione/sogno.
Girovagando per l’appunto in rete ho trovato in un’intervista al Dr. Pira (uno dei veterani del fumetto online – anzi, onlain – assieme ai Superamici) una risposta che voglio citare (non la trascrivo per intero, metto il link in coda per chi volesse leggerla tutta):
Mettiamo il caso che uno decida di scrivere una storia che racconti i suoi intimi travagli, e che per trasmettere meglio le sue tormentate emozioni al lettore concluda che il fumetto sia una soluzione intelligente.
Ora, come può la sua personale storia essere così interessante da farlo desistere dall’inserire nell’intreccio un cane magico volante? Nei fumetti si può fare così facilmente che mi chiedo come faccia la gente a resistere. Un cane magico volante è sempre di grande effetto, anche solo per sottolineare meglio emozioni e sensazioni. Vuoi far apparire all’improvviso un nano con la faccia enorme cosparsa di occhi? Ci metti un minuto ed è gratis! Eppure gran parte dei fumetti sono mere storie autoreferenziali: perché sia così, non ci arrivo proprio.
(Dr.Pira – intervista a Unotre)
Per quel poco che può valere la mia opinione, Dr. Pira ha ragione. Quando leggo una storia a fumetti di impianto autobiografico ho bisogno di trovarci un elemento che la faccia deragliare dalla realtà. Lo scopo della scrittura, della creazione in senso lato, è ( o dovrebbe essere) inventare.
L’invenzione reca con sé un portato di aspettative verso l’ignoto e verso il tempo futuro che ne fanno un traino dell’evoluzione. Perché derogare?
Tra le storie che si incontrano in rete ve ne sono alcune che deviano dal reale attraverso meccanismi consolidati: l’uso del grottesco, l’esasperazione dei toni, la caricatura, la narrazione di esperienze surreali per quanto biografiche, l’introduzione di personaggi “magici”.
C’è chi adotta esclusivamente la pura narrazione e c’è anche chi si limita a una cronaca del quotidiano di eventi esterni o sensazioni, modus operandi che abbonda nei diari a fumetti.
Nulla di male in tutto ciò: è un diario, che sia autoreferenziale è il minimo.
Lo stesso mood, però, a volte, innerva le opere “lunghe” dell’editoria tradizionale.
L’esempio che voglio citare è Una lieve imperfezione di Adrian Tomine.
Una lieve imperfezione (titolo originale: Shortcomings)
Tomine è un ottimo disegnatore, ma leggere questo testo mi ha spiazzata.
La storia ruota attorno a un uomo – Ben Tanaka - di origini orientali, fidanzato con  Miko (orientale anche lei) e patologicamente attratto da donne caucasiche (preferibilmente bionde).
La relazione tra i due è in crisi e si incrina ancora di più quando lei, ricercatrice, ha la possibilità di trasferirsi per lavoro da Berkeley a New York.
Fa da sfondo alle vicende il richiamo alle comunità di immigrati orientali, soprattutto a quelli di seconda generazione (quella di Tomine in realtà è la quarta), figli di famiglie fedeli alle proprie tradizioni, ma nati e educati in America e più o meno confusi su cosa potersene fare delle proprie radici.
L’umanità che circola nella graphic novel di Tomine somiglia in modo agghiacciante a quella reale. Personaggi in cerca d’autore, sedicenti artisti, eterni indecisi ed eterni adolescenti. Uomini pronti a troncare una relazione duratura per inseguire fantasie sessuali, salvo poi pentirsi visto lo scarso appagamento. Donne in assetto di perenne rimprovero che alla fine si rivelano capaci di oltrepassare le delusioni con una facilità che sfiora la leggerezza (in contrasto con la seriosità di facciata). Eccetera eccetera.
Mentre leggevo Una lieve imperfezione non potevo fare a meno di provare del fastidio per quella umanità. E contemporaneamente rendermi conto di quanto quella realtà fosse alla mia portata tutti i giorni.
Tornando all’opinione precedentemente espressa: quello che voglio da un’opera è fantasia e inventiva. Voglio che il mondo venga creato, non semplicemente rappresentato.
Allo stesso tempo non riesco a stroncare Tomine: è stato troppo sincero.
Il risultato finale è la sospensione del giudizio.
Link Utili
Una lieve imperfezione su Lo spazio bianco

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