Alice Liddell |
Il romanzo invece nasce negli anni tra 1862 e 1871. Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dogson, nato nel 1832, è senza dubbio una figura molto particolare. Fu insegnante di matematica, autore di paradossi logici, e uomo di chiesa. Per certi versi ha qualcosa in comune con H. Ch. Andersen anche sotto il profilo di una personalità contraddittoria: estremamente timido e condizionato da un difetto di pronuncia, predicava di rado ed evitava la vita in società. Ma, dicono le fonti, la sua timidezza svaniva, e Carroll diventava uno straordinario narratore, quando il suo interlocutore era Alice Liddell, una bambina realmente esistita, e le sue sorelle, a cui Carroll amava raccontare storie. Qui si inserisce quell’aspetto di Carroll che gli costò anche ex post delle accuse - che però non paiono trovare riscontro sul piano della realtà -, ovvero che il suo interesse per le bambine di cui si circondava andasse al di là della sua passione di narratore, e nascondesse passioni di altro genere. Questa accusa si è basata soprattutto su un altro aspetto del rapporto tra Carroll e le destinatarie e ispiratrici dei suoi racconti: Carroll fu infatti anche autore di molti ritratti fotografici di bambine, fra i quali piuttosto noto è quello che raffigura Alice Liddell. In realtà questi ritratti hanno un nesso con una questione che emerge anche a livello contenutistico nei romanzi di Alice: Carroll ritraeva i suoi soggetti in mezzo alla natura, come fate in libertà, e questo proprio in controtendenza rispetto alla compostezza e al canonico contegno delle pose e del vestiario di epoca vittoriana. E proprio il rapporto di sovversione a più livelli con la morale vittoriana è l’aspetto che ha reso i romanzi di Alice unici per il loro genere e la loro epoca e, al di là di questo, dei grandi classici della letteratura per l’infanzia e non solo.
La fiaba delle avventure di Alice sottoterra: Alice nel Paese delle Meraviglie
Fu un «pomeriggio dorato» del 4 luglio del 1862 - scrive Carroll nel proprio diario - l’occasione nella quale per la prima volta raccontò La fiaba delle avventure di Alice sottoterra. Carroll si riferisce nel suo diario alla gita in barca sul Tamigi in compagnia delle tre sorelline Liddell e dell’amico reverendo Robinson Duckworth, durante la quale, pregato dalla stessa Alice Liddell «inventò via via, improvvisando» quelle «fantasticherie» che, messe per iscritto - sempre su richiesta di Alice -, avrebbero originato i due romanzi tanto amati. Leggiamo un passo tratto dalle memorie di Carroll:
Durante la stesura aggiunsi molte idee nuove, che parvero sbocciare da sole dal filone originario; e molte altre si aggiunsero quando, anni dopo, lo riscrissi per la stampa… Vieni Alice, dunque, dalle ombre del passato, Alice, bambina dei miei sogni. Molti, molti anni sono scivolati via da quel dorato meriggio che ti vide nascere, ma io posso rievocarlo quasi con la stessa chiarezza che se fosse stato ieri… Quei tre visi intenti, assetati di notizie del paese delle fate, che non avrebbero mai accettato un no, e dalle cui labbra il «Ti prego, raccontaci una storia» aveva tutta la rigida immutabilità del Fato.
Le avventure di Alice sottoterra, il manoscritto originale dell’opera, fu composto e illustrato dallo stesso Carroll come dono per Alice Liddell. Alice nel Paese delle meraviglie, come successivamente il romanzo venne intitolato, fu pubblicato nel 1865 (con le illustrazioni, divenute canoniche, di Tenniell) proprio il 4 luglio, in commemorazione del giorno della gita in barca. Il secondo famosissimo illustratore di Alice sarà Newell. In un articolo, in cui si interroga sul modo migliore per raffigurare Alice mediante immagini, Carroll diede la seguente descrizione della personalità della sua eroina:
Cosa eri tu, o Alice del sogno, agli occhi del tuo padre adottivo? Come ti ritrarrà egli? Amorosa, in primo luogo, amorosa come un cucciolo e gentile come un cerbiatto, poi cortese, cortese con tutti, alti o bassi, grandiosi o grotteschi, Re o Bruco, fosse anche ella stessa figlia di Re, e i suoi abiti di oro fino. Poi fiduciosa, pronta ad accettare le cose più folli e impossibili, con tutta quella fiducia totale che solo i sognatori conoscono; e infine, curiosa, follemente, e con l’avido godimento della vita che viene solo nelle ore felici dell’infanzia, quando tutto è nuovo e bello, e quando il peccato e il dolore non sono che nomi, parole vuote che non significano nulla.
Il secondo romanzo, Attraverso lo specchio e quello che Alice vi trovò, uscì nel 1871. Nel 1889 Carroll pubblicò invece The nursery Alice, una versione dell’opera destinata al pubblico dei piccolissimi, da zero a cinque anni; interessante notare in questo senso la vocazione pedagogica dell’autore, dove persino le illustrazioni di Tenniel sono ingrandite e colorate. Su Alice e di Alice hanno scritto in molti. Partendo dalle considerazioni generali di Donatella Ziliotto, «Un capolavoro indiscusso in tutto il mondo come Alice non ha avuto in Italia un’accoglienza straordinaria: i bambini l’hanno spesso trovato disorientante». D’altra parte, interrogandosi invece sull’attualità dei romanzi di Carroll, Ziliotto nota e sottolinea tre aspetti importanti. Innanzitutto, rispetto al secolo passato, che si sia attualmente sviluppata fra i giovani e giovanissimi una maggiore abitudine al surreale; pensiamo all’irrompere della letteratura nordica, alla grandissima fortuna della narrativa e filmografia fantasy, alla deformazione, agli accostamenti irrazionali. In secondo luogo, come sia possibile cogliere nella concretezza, curiosità e atteggiamento di distacco di Alice un correttivo a quel grande nonsense che è la vita. Alice fornirebbe, infine, l’esempio di una coscienza vigile in se stessa. Di fronte all’ingiustizia Alice critica gli adulti, reagisce, protesta, esige spiegazioni e contesta le più pericolose autorità. Alla Duchessa, che da ogni evento pretende di trarre una morale precostituita, Alice obietta: «Io ho il diritto di pensare». Perché, contro il rigido moralismo vittoriano, «Forse la morale non c’è». Alla tirannica Regina di cuori, forte del suo invincibile esercito, Alice ha la spudoratezza di gridare: «Non siete che un mazzo di carte!». Uno dei nuclei tematici principali che ci permette di ipotizzare una riattualizzazione dei romanzi di Alice è l’opposizione – evidenziata da Silvia Demozzi – fra lo star bene a casa propria e il provare angoscia, paura, nel mondo dell’assurdo. Alice oscilla, nel corso di tutta la narrazione, fra pretese di controllo e irrefrenabile curiosità nei confronti della novità, coraggio nell’affrontare il cambiamento (o meglio i mille cambiamenti), trasformazioni, mutazioni di forma e dimensioni nei quali si imbatte:
In questo Alice, con le sue avventure, ci può essere di aiuto: percorrere con lei il paese delle meraviglie, ci può servire, infatti, per riconsiderare alcune attitudini (prima esistenziali e poi ancora educative) che spesso inconsapevolmente ci limitano e ci impediscono di scorgere altri mondi possibili, talvolta anche arricchenti, seppur inizialmente misteriosi.
Durante il sogno, Alice non smette di essere condizionata dalla buona educazione che ha ricevuto.
Abbiamo letto che, di fronte alla prima boccetta con la scritta “Bevimi”, la protagonista dimostra di tenere bene a mente quelle «belle storielline» che le hanno raccontato, riferendosi, con questa espressione, alle fiabe tradizionali, in realtà piene di orrore, contenenti una morale edificante, tanto diffuse in epoca vittoriana. È interessantissimo rilevare come, abolendo le morali, i libri di Alice aprirono un nuovo genere di narrativa per bambini. Anche la maggior parte delle poesie contenute nei due libri di Alice sono parodie di poemetti e canzoni popolari, ben noti ai lettori contemporanei di Carroll, per lo più a sfondo religioso e moralistico, volti a trasmettere un insegnamento edificante. Ricordiamo a mo' di esempio come la prima filastrocca di Alice nel Paese delle meraviglie, intitolata L’industrioso coccodrillo, sia l’abile messa in berlina della più nota poesia del teologo e autore di inni sacri Isaac Watts. All’Ape industriosa di Watts, sempre affaccendata e dal volo veloce, si sostituisce, nella restituzione di Carroll - con affetto comico assicurato - il pigro coccodrillo dai movimenti goffi e lenti. E tuttavia la giudiziosa Alice, che non dimentica gli insegnamenti e le consuetudini che l’hanno accompagnata per tutta la vita, dal momento che non trova scritta sulla boccetta la parola “veleno”, decide di berne il contenuto, dando inizio alle vicissitudini delle trasformazioni. Come si legge nella raccolta Alice Disambientata:
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Nel libro di Lewis Carroll, Alice ingrandisce e rimpicciolisce di continuo fino a perdere il senso della propria identità […]. Ma dietro la sua sagoma bambinesca si profila anche l’idea di un individuo nuovo, per lo più destabilizzato, coinvolto in continue mutazioni, ma liberato dai precetti del ‘come si deve essere’, e più avvertito sull’importanza del ‘come ci si sente’.
Si affaccia dunque come caratteristica dominante del romanzo, con le continue metamorfosi di Alice, il tema della crescita, del possibile senso di inadeguatezza che ne deriva, della perdita e del ritrovamento dell’identità. Riprendendo questi punti possiamo rintracciare, nel corso della narrazione, alcuni importantissimi elementi fiabeschi: 1. per "diventare adulto", il protagonista delle fiabe deve affrontare prove, perdersi nel bosco e trovare autonomamente la via per uscirne, calarsi sotterra (nel mondo dei morti?) in un viaggio avventuroso alla scoperta del proprio destino; 2. in Attraverso lo specchio Alice si troverà a percorrere sola il «bosco senza nome», nel quale, per un attimo, dimenticherà persino la propria identità, il proprio nome appunto. Ricordiamo che il Bruco più e più volte ha domandato ad Alice «Chi sei tu?». Il vero problema di Alice, in fondo, è il problema dell'identità nella crescita smisurata o nel rimpicciolimento, nel tempo del cambiamento e della prova. Pur ricordandoci che l'identità, la regola e il controllo esistono sempre, non ci abbandonano, non ci danno riposo e rifugio, i romanzi di Carroll suggeriscono l'esistenza di possibilità al di là di essi, senza etichette e vincoli, possibilità fantastiche e logiche. Il Paese delle meraviglie - è soprattutto questo che ci interessa mettere in luce - non è vana fantasticheria, luogo altro e inesistente, ma sogno, e il sogno - proprio come la creazione fantastica -intrattiene sempre uno stretto rapporto di dipendenza con la realtà a partire dalla quale viene elaborato. Come uno specchio, il sogno, la fantasia riflettono - seppur in modo rovesciato, spesso disorientante, talvolta ironico - quel non senso che è la vita reale, dove non tutte le domande hanno risposta, gli indovinelli spesso non approdano a una soluzione e il futuro non è mai prevedibile. Carroll ci rivela dunque che, al di là delle nostre pretese di controllo e dominio, non c’è poi una così grande differenza fra mondo della realtà, al di qua dello specchio, e mondo del fantastico, oltre lo specchio. In fondo in fondo, come scherza l’arguto gatto del Cheshire, la verità è che «Siamo tutti matti!».
In questo senso, è proprio un personaggio di fantasia come il Cappellaio Matto l’unico che può darci, con la sua logica strampalata, un insegnamento prezioso sul tempo, quel tempo che diciamo quotidianamente di perdere, ma che in fondo non possediamo. Il tempo non è nostro e non possiamo controllarlo, ma possiamo provare a rapportarci ad esso in maniera diversa, fermandoci ad ascoltarlo. Leggiamo questo passo, dal Capitolo VII di Alice nel Paese delle meraviglie (cfr. pag. 101):
Alice sospirò, stanca. «Secondo me potreste impiegare meglio il vostro tempo» disse «invece di sprecarlo in indovinelli senza risposta». «Se tu conoscessi il tempo come lo conosco io» disse il Cappellaio «non ne parleresti con tanta confidenza». «Non so che vuoi dire!» disse Alice. «Certo che non lo sai!» disse il Cappellaio agitando sprezzante il capo. «Scommetto che non ci hai mai nemmeno parlato con il Tempo!». «Forse no» rispose prudente Alice; «ma so che devo batterlo quando ho lezione di musica». «Ah! Questo spiega tutto» disse il Cappellaio. «Non gli va di essere battuto. Se invece ti fossi mantenuta in buoni rapporti con lui, lui avrebbe fatto fare al tuo orologio tutto quello che vuoi tu».
Ancora seguendo Demozzi, un altro aspetto che si può sottolineare è come Carroll sembri insistere su quanto e come il nostro paese reale funzioni usualmente in modo analogo al Paese delle meraviglie. Pensiamo alla stravagante partita di Croquet che Alice gioca nel Regno della Regina di cuori (Capitolo VIII, pag. 115):
Alice pensò che non aveva mai visto un campo da croquet tanto curioso in vita sua: era tutto buche e solchi, le palle erano porcospini vivi, e le mazze erano fenicotteri vivi, e i soldati dovevano piegarsi in modo da reggersi sulle mani e sui piedi per formare degli archi. Alice scoprì subito che la maggiore difficoltà riguardava l’uso del suo fenicottero: riusciva abbastanza agevolmente a prenderlo sotto braccio, con le zampe penzoloni, ma in genere appena era riuscita a metterlo col collo teso a dovere, e stava per assestare un colpo al porcospino col suo capo, quello si torceva da una parte e la guardava in viso con un’espressione tanto perplessa che Alice non poteva fare a meno di scoppiare a ridere; e quando riusciva a fargli abbassare il capo, e stava per ricominciare un’altra volta, era davvero irritante scoprire che il porcospino si era sgomitolato e stava per filarsela; e come se non bastasse, dovunque volesse indirizzare il porcospino c’era di solito di mezzo una buca o un solco, e siccome i soldati piegati in due continuavano a rialzarsi e ad andarsene in altri punti del campo, Alice giunse ben presto alla conclusione che si trattava di un gioco difficilissimo.
Alice nel Paese delle meraviglie, illustrazioni di R. Deutremer
Dunque fenicotteri come mazze, porcospini come palle, carte da gioco animate. In questa partita nessuno ha la minima idea di ciò che può accadere, perché ogni elemento che vi prende parte – giocatore o strumento – è VIVO e in viva relazione con gli altri. In questo senso, i giocatori non dispongono di regole fisse e prestabilite che insegnino loro a cavarsela, che assicurino la vittoria. E questo è proprio ciò che accade nel mondo reale, “nel gioco della vita”, potremmo dire: non vi è nulla che sia definitivo, non esiste una formula da poter sempre riutilizzare, c’è piuttosto la necessità di rimettersi costantemente in gioco, confrontandosi con un universo imprevedibile e con soggetti estranei che potrebbero, chissà, meravigliarci e trasformarci. È curioso ricordare a proposito che Carroll - che ricordiamo, era anche logico e matematico - passava parecchio tempo a inventare nuovi e strani modi di giocare giochi familiari, stravolgendone le regole consuete. Le carte da gioco, i pezzi degli scacchi diventano, allo sguardo di Carroll, soggetti animati, strambi personaggi romanzeschi con le più diverse caratteristiche e attitudini. Ad esempio, per quanto riguarda la celeberrima Regina di Cuori – scrive Carroll – «me la sono raffigurata come una sorta di incarnazione di una passione incontrollabile, una furia cieca e senza scopo». I suoi ordini di decapitazione – commenta Martin Gardner - potrebbero certo scandalizzare quei critici moderni della letteratura per l’infanzia che ritengono che questo genere letterario debba essere privo di ogni violenza. Dunque, anche qui, evidenziamo un fondamentale elemento fiabesco, quello dell’orrore manifesto, della violenza non celata al bambino, che dal sentimento di paura non viene danneggiato, bensì ne trae occasione di crescita.
Silvia Ippolito e Marlisa Spiti
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