E' con piacere che ospitiamo per far due chiacchiere Fabrizio
Silei: scrittore, illustratore,
raccontastorie, operatore laboratoriale e artista di sculture di
carta che ruggiscono.
Per anni ha lavorato come sociologo e si è dedicato
alla raccolta di storie e leggende popolari e contadine, impegnandosi
e divertendosi sul fronte della creatività narrativa e tecnico
artistica. Divertendosi: questo è un aspetto che ci ha affascinato di Fabrizio Silei, lavora con passione perché non ha mai reciso quel filo rosso di immagini e storie che lo accompagna dell'infanzia. Lavora giocando, e lo fa con profondità, rendendoci partecipi di un mondo mitopoietico molto forte.
Raccontare storie con strumenti narrativi, con le immagini, con le sculture, con
la carta, con dei cubi da comporre, questa l'attività del nostro ospite.
Che
legame c'è tra i tuoi libri per ragazzi e le storie che nel
corso della tua vita ti sono state raccontate?
Innazitutto
un rapporto biografico, nel senso che io racconto storie perché
mi sono state raccontate. Le storie sono state per me un dono, il più
bello e importante che ha segnato la mia vita più di ogni
altro. Ricordo che da piccolo non c’erano libri in casa mia, ma mia
madre, una contadina con la terza elementare, mi raccontava delle
fiabe terribili già quando avevo tre o quattro anni. Un po’
si rifaceva alle fiabe popolari, un po’ inventava perché non
ricordava bene le fiabe originali, spesso raccontava anche storie
vere: la guerra, i tedeschi, lei bambina. Era molto brava a inventare
e raccontare storie mentre cuciva vicino alla finestra ed io seduto
su una piccola sedia al suo fianco ascoltavo ad occhi spalancati.
Capitava però che si stancasse di raccontare, del mio chiedere
storie e mi dicesse: “Adesso continua tu!”
Ecco,
come ho scritto più volte, in quel “continua tu”, in quel
passaggio di testimone, in quel dono che una madre fa al suo bambino
in un lontano pomeriggio dell’infanzia sta tutta la questione e
inizia tutto. Una seconda nascita, un dono d’amore. Mia madre mi
ha prima affabulato, istruito e poi, toccandomi con la sua bacchetta
magica mi ha trasformato in narratore senza saperlo. Semplicemente
con due parole “continua tu!”. La narrazione è un’entità
femminile, l’intelligenza narrativa comincia a germogliare nel
bambino quando ascolta le storie, prima è, meglio sarà.
Le leggende e racconti che hai raccolto che rapporto hanno con la narrazione per l'infanzia?
Per
l’infanzia? Come molti sapranno, “l’invenzione dell’infanzia” è
un fatto recente, la maggior parte delle fiabe che conosciamo nascono
per un mondo che non conosce questa distinzione. Fiabe di corte e
cortigiani, fiabe di contadini da raccontarsi intorno al fuoco,
leggende, miti, narrazioni, storie di fantasmi. Forse già al
tempo di mia madre bambina, durante la guerra, poteva verificarsi
l’accortezza di non far ascoltare a un bambino particolarmente
suscettibile una storia troppo paurosa perché dormisse meglio
la notte, ma quest’ipotesi potrebbe anche essere una proiezione
retrospettiva della nostra sensibilità. Insomma erano storie
per tutti, che poi con l’invenzione, o la scoperta, dell’infanzia,
e la divisione dei pubblici, dei target diremmo oggi, creata dal
mercato, sono divenute per bambini o ragazzi.
Il gioco di raccontare storie oggi, che rapporto ha con la
creazione di storie popolare?
Un
rapporto magico, archetipico. Nel raccontare storie siamo tutti
uguali, nel tentativo di organizzarle ripercorriamo strade che l’uomo
ha percorso da sempre. Il bambino di oggi e il cantore o il contadino
di ieri nel momento dell’invenzione attingono alla stessa foresta
di senso, di significati e cercano di orientarvici con più o
meno successo. In questo senso l’energia che muoveva mia madre a
narrare è molto simile alla mia o a quella di Stephen King.
Nelle mie storie di oggi ritorna quel mondo di racconti, di passaggi
di testimone, di testimonianze donate a un bambino, di guerra e di
umanità che caratterizza il mio immaginario e che ha a che
fare con le storie che mi sono state raccontate e che ho amato, che
mi hanno emozionato da piccolo. Per questo forse non ho mai smesso di
ascoltare gli anziani, di raccogliere storie, rubarle e trasformarle.
Lo penso ora mentre scrivo per la prima volta: forse il piacere che
mi deriva dall’ascoltare una storia vera e dal raccontare storie ai
ragazzi e ai bambini, ha a che fare con il desiderio di ritrovare
almeno in parte la magia perduta dei racconti dell’infanzia e di
mia madre.
Ci incuriosce L'inventastorie,
un cofanetto che solo a prima vista può sembrare contenere dei
cubi e un albo, in realtà è una macchina
della fantasia completamente ecologica e altamente tecnologica,
“interamente touch e 3D” ! Con
L'Inventastorie, un sistema di cubi combinabili (in cui incontriamo ladri, alieni, donne forzute, cavalieri , conigli, cavalli...) si gioca a combinare, costruire storie, anzi a moltiplicare le storie, i
personaggi, i libri. Una Grammatica della Fantasia
in dadi tutta da toccare e comporre. (Per
saperne di più sull'Inventastorie leggi qui.) Chiediamo allora a Fabrizio di raccontarci del legame che questo gioco ha
col passato, con la fiaba, col racconto popolare.
Ritorna
spesso nelle tue domande il racconto popolare, ciò mi
costringe a ragionare in maniera inconsueta, a riflettere su un
aspetto non esplicitato della mia scrittura, che fa da sfondo, ma
anche da supporto. Mia madre aveva imparato a raccontare nel “canto
del foco”, nell’angolo del focolare. Laddove in Toscana i vecchi
raccontavano leggende sentite al mercato dal cantastorie (La Pia dei
Tolomei! Le Storie dei briganti) leggende locali e storie di
fantasmi, ma anche recitavano a memoria Dante e L’Ariosto e
duellavano talvolta in ottava rima. I bambini tacevano e ascoltavano,
tutti stretti intorno al fuoco, seduti dentro al grande camino. Ecco,
io vengo da quel mondo, da quella scuola, adoro il racconto orale, i
dopocena, le narrazioni delle persone comuni e ho imparato a tacere e
ad ascoltarle. In questo senso sono un uomo di un altro tempo, che se
il mondo non fosse cambiato farei ancora il contadino come mio nonno.
Da qui viene la forza e l’originalità della mia scrittura,
la lotta con gli editor per mantenere certe parole, un certo
linguaggio etc., ma da qui viene anche il suo limite, il mio limite
che consiste nel non poter far a meno di guardare indietro per andare
avanti, nel rifiutare la logica del presente per il presente.
Ma
sto divangando, l’Inventastorie
nasce
dalla voglia di creare un gioco, una “macchina della fantasia”
che permetta a grandi e piccoli di raccontare storie insieme e
favorire l’intelligenza narrativa nei bambini. L’uomo è
prima di tutto un animale narrante, la nostra vita è fatta di
storie, non c’è popolo della terra che non ami il gioco e le
storie. Questi gli elementi con i quali si impara. Insegnare a
raccontare storie, a mettersi nei panni dell’altro, a sviluppare
empatia e gestire emozioni significa educare con la E maiuscola.
l’Inventastorie
è dedicato e si rifà esplicitamente a Gianni Rodari e
alla sua Grammatica
della fantasia
perché credo che ci sia bisogno di recuperare quell’esperienza
anche nella scuola, una scuola sempre più mortificata da
pratiche relazionali e didattiche a dir poco discutibili, una scuola
specchio di questo tempo fatto di consumatori di storie, di video
game, di prodotti e sempre meno di persone creative, felici, critiche
e capaci di trovare una dimensione salutare nell’espressione di sé
e del proprio raccontarsi.
La
carta, il cartone, ma anche il legno, sono stati una scoperta che ho
fatto durante la mia ricerca. Mi servono materiali che mi costringano
a togliere ad essere sintetico a ricercare la forma essenziale in
pochi gesti senza frivolezze o compiacimenti. Adoro questi materiali
per questo motivo e per la loro bellezza, naturalità, umanità
palpabile, godibile. Perché posso proporli a insegnanti e
bambini che li sentono vicini e quotidiani ed esprimere al meglio me
stesso, raccontare le mie storie.
Leggi la recensione de L'Inventastorie su Gigi, Il giornale dei giovani lettori, cliccando qui.
Nelle precedenti puntate di "Due chacchiere" abbiamo incontrato operatori, artisti e illustratori. Per leggere tutti i post, clicca qui.
Leyla Vahedi
Grazie, che belle chiacchiere!
RispondiEliminaAnche noi amiamo ed usiamo tanto l'inventastorie!
http://liberelettere.blogspot.it/2013/01/storie-con-i-cubi.html
Grazie alla nostra squadra di tre piccoli lettori e una mamma!
EliminaGrazie di questa segnalazione e di aver raccontato l'inventastorie con questo tocco "amarcord" appunto, che era proprio ciò che mi colpiva di più di un gioco così "vecchio" eppure "tridimensionale e interamente touch"!
Buone letture,
Leyla