31 ott 2017

HALLOWEEN: riti, miti e leggende su una festa di "passaggio"

Halloween vintage postcard

Nel precedente post, Silvia Ippolito e Marlisa Spiti ci hanno raccontato le origini di una delle immagini più tipiche - la zucca ardente - della festa di Halloween, che ricorre oggi. In questo secondo post, le due autrici riprendono il filo del discorso e, dalla "fiaba" di Jack Lanterna, allargano la lente di osservazione, proponendo una lettura di quella specifica leggenda in chiave "isomorfica", ovvero attraverso la comparazione con elementi caratteristici di altri miti, o riti, o leggende, o usanze diffuse in tempi e luoghi i più vari. Attraverso una ricostruzione di questo tipo è possibile allora "affacciarsi" sull'incredibile stratificazione, convergenza e metamorfosi di materiali folklorici di provenienze diverse e composite. Ed è possibile osservare retrospettivamente la storia di ciò che, ancora oggi, è in opera nei racconti e nelle pratiche che attraversano immaginario, letture, narrazioni e usanze tutt'oggi diffuse. Ecco dunque la seconda parte di questa interessante e utile ricognizione sul tema di Halloween.

La leggenda di Jack-o’-Lantern e il capodanno agrario di Ognissanti (parte seconda)

La prossimità evidenziata fra l’intreccio di Jack Lanterna e le leggende appartenenti al patrimonio folklorico italiano è soltanto il primo indizio dell’isomorfismo, nascosto ma latente, che lega le tradizioni - novelle e fiabe, credenze e riti - nordiche/americane e nostrane allo stesso sostrato mitico/archetipico, quello distintivo del “capodanno agrario” autunnale di Samain/Halloween, che cadrebbe nei primi dodici giorni del mese di novembre. 


Come altri periodi critici dell’anno, l’ingresso dell’autunno è infatti percepito dalla coscienza popolare come un vero e proprio “capo dell’anno”, durante il quale i morti entrano in comunicazione con i vivi in un generale rivolgimento cosmico. Le celebrazioni di inizio novembre sanciscono un importante spartiacque nei cicli agrari e stagionali: il bestiame rientra dai pascoli, il clima si irrigidisce, il raccolto è stato ultimato. Soprattutto, nei paesi dediti all’agricoltura e alla coltivazione dei cereali le sementi sono state interrate, dunque affidate, nell’immaginario contadino, alla «giurisdizione e protezione dei morti» (E. Baldini; G. Bellosi, Halloween, p. 80).

Di conseguenza, è in questo periodo dell’anno che si concentrano i riti di questua, augurio e ringraziamento volti a propiziare i defunti, custodi della dimensione ctonia come della comunità metastorica in generale: se è il giorno di Ognissanti (o dei Morti) a segnare nei calendari tradizionali l’inizio della semina, la data dell’11 novembre (San Martino) ne costituisce il limite temporale invalicabile, ed è percepita anche come celebrazione, funeraria/carnascialesca, dell’annata agraria nel suo complesso. Sono i morti, liberi in questo periodo di aggirarsi sulla terra, a vigilare sul rispetto di tale dinamica, fornendo o meno quella benedizione che è necessaria al compimento di un nuovo ciclo germinativo. I defunti sono reputati garanti della riproduzione vitale, custodi del rapporto tra larvale e realizzato, protettori della vegetazione, dei semi e delle nascite.
Proprio in questi giorni, si celebrano l’Ognissanti e la Commemorazione dei defunti, due importanti feste liturgiche istituite dalla Chiesa al fine di cristianizzare le usanze più antiche persistenti nella cultura contadina. Scrivono in proposito Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi:
Oggi Halloween sconfigge e surclassa Ognissanti? Sì, è piuttosto evidente. E questo quasi mille e trecento anni dopo che fu introdotta in questa data una festa dedicata a tutti i Santi, poi un paio di secoli più tardi quella del Giorno dei Morti (2 novembre), per cercare di cristianizzare le celebrazioni manistiche (cioè dedicate al culto dei defunti), osservate negli stessi giorni, che appartenevano da tempo immemorabile a religiosità precristiane poi a culture tradizionali europee. In realtà, se il culto dei singoli martiri e santi risale ai primi secoli dopo Cristo, la Chiesa d'Oriente aveva sentito il bisogno di celebrarli tutti (conosciuti o ignoti) in un'unica ricorrenza già a partire dal IV secolo: la Chiesa siriaca nel tempo pasquale, quella bizantina la domenica successiva alla Pentecoste. A Roma questa festa venne invece collocata al 13 maggio, a partire dal 610, quando in quel giorno papa Bonifacio IV dedicò il Pantheon alla Vergine Maria e a tutti i santi. Nell'VIII secolo, poi, la Chiesa romana spostò la ricorrenza al 1° novembre. […] Il vero motivo dello spostamento derivò dal bisogno di sovrapporre una ricorrenza cristiana a una precristiana che si festeggiava da tempo alla chiusura dei grandi lavori agricoli e all'inizio della «stagione scura», e che per qualche popolazione rappresentava un vero e proprio capodanno. […] Per sostituire senza snaturarle troppo le caratteristiche di «festa dei morti» dell'antico capodanno celtico (il Samain celebrato nei primi giorni di novembre), e probabilmente non solo celtico, prendendo atto che comunque il popolo, e in larga parte anche il clero, continuava a osservarle, la Chiesa poi dedicò il giorno successivo, 2 novembre, alla Commemorazione dei defunti. […] La cristianizzazione non portò comunque a una vera rimozione dei contenuti e delle forme originali della festa (anche in Italia Ognissanti non ha mai avuto una propria precisa fisionomia, perlomeno a livello popolare, ma è sempre stata un'appendice anticipata del Giorno dei Morti, riservata quasi esclusivamente a culti e devozioni funerarie e manistiche). Ciò che nel 1909 scriveva Matilde Serao riferendosi al Meridione vale in realtà per tutto il Paese: «Ognissanti non esiste, c'è solo la festa dei defunti». […] Quando, verso la metà del XIX secolo, moltissimi irlandesi (e più tardi scozzesi) dovettero emigrare in America per sfuggire a una tremenda carestia che li aveva colpiti, portarono con sé un bagaglio di tradizioni legate al loro antico capodanno, divenute poi negli Stati Uniti una festa di tutti nella sua forma odierna. Da lì, recentemente, buona parte d'Europa e anche l'Italia hanno importato o reimportato la celebrazione. Ma c'è un fatto: nel folklore delle varie regioni del nostro Paese, tutti gli elementi di questa antica festa di capodanno (o comunque di determinante passaggio stagionale), compreso quello relativo al ritorno e alla circolazione dei morti nella dimensione terrena sono presenti in abbondanza risalendo a chissà quale epoca. È vero, le date in cui elementi simili si materializzavano erano più d'una, perché più d'uno erano gli antichi capodanni stratificatisi nelle culture tradizionali, e più d'uno erano ovviamente gli spartiacque astronomici e stagionali importanti. Caratteristiche chiaramente manistiche, affini appunto a quelle delle feste dei primi di novembre, si trovano ad esempio nelle celebrazioni del Carnevale, dell'Epifania eccetera. Era in quelle date che comparivano le maschere questuanti, che si annullavano le barriere del tempo e dello spazio quotidiani per lasciare irrompere, tra i vivi, i morti e le entità inferiche di un aldilà non troppo lontano. Ma questo, da noi, succedeva anche, e in maniera netta e diffusa, nei primi giorni di novembre. E, come abbiamo detto, succedeva anche in aree in cui non potremmo trovare traccia di una presenza celtica. Ciò suscita interrogativi e ipotesi: o gli elementi e la data stessa di una festa celtica hanno conosciuto una vasta circolazione e diffusione, o si tratta di «archetipi» che hanno avuto genesi indipendenti in realtà geografiche ed etnoculturali diverse e distanti, oppure risalgono a un sostrato preceltico accomunante diversi popoli europei, chiamiamolo per comodità «indoeuropeo», capace di rappresentare il punto di partenza di qualcosa che sia i Celti, sia altre popolazioni, hanno portato con sé, proveniente da una matrice comune, per poi svilupparlo in modi differenti ma non troppo.
Pertanto, il primo novembre, «che celebra la morte di tutti i santi come giorno della loro “nascita”, della loro vittoria, dell’assunzione nella comunione divina» (A. Cattabiani, Calendario, p. 309), ha in fondo sostituito il capodanno rurale senza contraddirne lo spirito: proprio come il naturale desiderio di venerare i propri avi, portatori di benedizione ed abbondanza al raccolto, la memoria del Santo protettore è espressione di un culto universale, legato agli interessi ed alle aspirazioni degli agricoltori. Sepolti nella terra, “spiriti” o “anime”, “santi popolari”, «i defunti favoriscono la crescita dei frutti, e ad essi si innalzano preghiere affinché essi inviino questi frutti» (V. J. Propp, Feste agrarie russe, p. 60):
Le mamme raccontano ancora adesso ai figli che, nella notte fra il primo e il 2 novembre, i parenti defunti escono dai cimiteri e a frotte entrano nelle città penetrando nelle pasticcerie o nei negozi a rubare dolci, vestiti nuovi e giocattoli per poi donarli ai loro nipotini purché questi siano stati buoni durante l’anno, li abbiano devotamente pregati e abbiano fatto per loro qualche fioretto (A. Cattabiani, Lunario…, p. 359).
Analogamente ai due cicli festivi natalizio e carnascialesco - entrambi di dodici giorni -, il
Halloween vintage postcard
“dōdekaēmeron”dal 31 ottobre, vigilia di Ognissanti, all’11 novembre, giorno di San Martino, è celebrato nelle campagne secondo le modalità tipiche del capodanno stagionale - cerimonie di rinnovamento del tempo e della comunità, strenne, questue rituali, maschere, divinazioni -, ed è universalmente caratterizzato dalla credenza in un corale ritorno dei morti. In tutta Italia sono testimoniati riti di accoglienza per i defunti, che tornano alle loro case in occasione delle feste a loro dedicate: verso sera, si recita il rosario, ci si reca di notte a pregare nei cimiteri, si bussa alle tombe per “svegliare” le anime dei congiunti; in attesa della loro visita, ci si corica presto, si lasciano sul tavolo pane, acqua e un lume acceso, affinché trovino la strada illuminata, riposo e sostentamento; alle quattro del mattino, prima di andare a messa, si rifanno i letti. Con corone di castagne bollite, frutta secca e mele al collo, i bambini pellegrinano per i buoni morti, mentre nei boschi si racconta che vaghino le anime dei dannati.
Dall’esame delle tradizioni popolari celtiche/italiane e persino extracontinentali tipiche di novembre risulta perciò un quadro particolarmente coerente quanto a forme e significati: mentre questue propiziatorie, riti di accoglienza, preparazione di pani e dolci rituali segnano le feste dei Santi e dei Morti, gli aspetti trasgressivi/orgiastici e il clima carnascialesco distintivi del capodanno si concentrano in Italia nel giorno di San Martino. Quanto al viaggio dei defunti, è credenza comune che nella notte di Ognissanti gli spiriti lascino le loro sepolture - o, in caso di mala morte, il luogo della violenza - per raggiungere le case e le chiese, seguendo un itinerario processionale ben codificato. Il ritorno degli antenati è atteso con speranza e terrore: i rituali domestici rivolti ai congiunti trapassati devono essere curati con attenzione, e soprattutto, per evitare ritorsioni e scongiurare eventuali presenze inquiete - defunti oltraggiati, uccisi o dannati - è necessario adottare le opportune precauzioni apotropaiche/difensive. Si è soliti, nelle campagne, purificarsi/proteggersi dagli spiriti attraverso il suono delle campane, il frastuono di bidoni e corni, l’accensione di falò. Mentre l’«anima felice» dell’avo si “addomestica” al focolare, la folla dei morti ostili non trova riposo, e vaga nella notte minacciando chi la incontri. 

Nella funzione di vicari questuanti dei morti rientra, oltre ai poveri, ai mendicanti, ai forestieri, la categoria culturalmente limitrofa a queste dei bambini: nella loro relativa labilità psico-fisica, come nella mancanza di status e di ruoli definiti, essi sono ritenuti degli estranei dalla società, quindi costituiscono culturalmente i destinatari, i tramiti e i sostituti più efficaci del morto, figure ancora prossime alla nascita e dunque radicalmente esposte al rischio del non esserci. In altre parole, la vicinanza dei bambini alla vita implica la loro correlazione simbolica anche con il contrario della vita medesima, in modo tale che essi siano ravvicinabili, in ultima istanza, proprio ai vecchi o alla maschere carnascialesche sessualmente indeterminate, ermafrodite, e assumano così un significato e un ruolo culturale ambivalente fra vitale e mortifero, psicopompo, conduttore verso il regno dei morti. Si spiega così la dimensione reciproca dei doni, che, nella ritualità folklorica, comprende non solo la direzione dai morti ai bambini, ma anche la direzione inversa che va dai superstiti ai morti attraverso i bambini, loro vicari prediletti.
Ancora oggi, in ambito rurale, bambini, poveri o mendicanti “questuano” attivamente come vicari dei morti, mentre in offerta passiva si lasciano, sulla tavola o al focolare, particolari cibi ctoni: fave, castagne e frutta secca, legumi/cereali e zucche, simbolici ossi di morto. 
Come sottolinea Alfredo Cattabiani:
Che la ricorrenza dei defunti sia il residuo di una festa di capodanno lo si coglie anche nella credenza diffusa ancora adesso in alcune regioni d’Italia secondo la quale i morti ritornano a casa una volta l’anno e mangiano il cibo preparato per loro. In Veneto, come d’altronde nel Friuli, il ‘ritorno dei morti’ avviene nella notte fra il primo e il 2 novembre quando consumano fave, castagne e zucca marina. “Il ‘piatto dei morti’ in cucina o il bicchiere di acqua posto sul bufeto della camera dove sono morti i genitori e i parenti ha un valore simbolico preciso, come la candela sulla tomba, come i fiori” scrive Dino Coltro. “Significa che si crede nella loro vita ultraterrena: cibo vuol dire vita e se uno è ‘capace’ di mangiare vuol dire che è vivo. Un tempo nelle case le donne preparavano i trandoti e gli ossi di morto, pane e dolci particolari, impastati con farina e frutta secca. Il grano, da cui viene la farina, e la frutta secca ‘contengono’ la forza, l’energia del sole, insomma la vita”. […] La sera della vigilia dei Morti si mangia tradizionalmente polenta infasolà, cotta con una minestra di fagioli molto diluita. È una tenera forma di comunione con i propri morti perché, secondo una tradizione antichissima conosciuta anche dai Greci, le anime dei defunti risiederebbero nei baccelli delle leguminose (Lunario, pp. 358-359).
In particolare, nelle usanze siciliane testimoniate da Giuseppe Pitrè:
I dolci del basso volgo sono pei Morti i pupi di cena: guerrieri a cavallo, soldati pedoni, signore, trombe, scarpette di zucchero fuso comunemente appellato cena; questi pupi qualche settimana prima della festa si vanno riffando per la città, uso molto antico, che, qualche volta, perché esteso anche ad altri giuochi di fortuna, venne proibito. La frutta sono fichi infilzati a forma di ruota, mele, noci, castagne, mortella, nocciole avellane, e in alcuni luoghi anche. Tra gli abiti non suol mancare mai un paio di stivaletti o di scarpe, anzi nell’Etna i bambini la sera del 1° novembre sogliono preparare in un angolo della casa un paio di ciabatte (‘pparanu li scarpi), acciò i morti nella prossima notte vi ripongano dentro qualche cosa.
"Ossi di morti", dolce tradizionale siciliano
Interessante notare come queste strenne dei morti – simboliche “ossa” restitutrici di presenza - corrispondano nei racconti propri dei corrispondenti contesti tradizionali agli oggetti magici consegnati dai vari aiutanti fatati: umili e insignificanti frutti del bosco, noci, nocciole, ghiande e castagne vengono aperti nelle fiabe nei momenti critici delle prove, delle imprese rischiose e delle fughe vissute dal protagonista, rappresentando visivamente le scansioni del suo viaggio iniziatico nel regno della morte.

Silvia Ippolito e Marlisa Spiti



 
Bibliografia e letture consigliate:

Baldini Eraldo; Bellosi Giuseppe, Halloween. Nei giorni che i morti ritornano, Einaudi, Torino 2006.

Cattabiani Alfredo, Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i ritmi dell’anno, Mondadori, Milano 2003.

Cattabiani Alfredo, Lunario. Dodici mesi di miti, feste, leggende e tradizioni popolari d’Italia, Mondadori, Milano 2015.

Cocchiara Giuseppe, Il diavolo nella tradizione popolare italiana. Saggi e ricerche, G. B. Palumbo, Palermo 1945.

De Gubernatis Alessandro, Le tradizioni popolari di S. Stefano di Calcinaia, raccolte da Alessandro De Gubernatis, con proemio di Angelo De Gubernatis, Tip. Forzani e C., Roma 1894.

Gulisano Paolo, O'Neill Brid, La notte delle zucche. Halloween: storia di una festa, Ancora, Milano 2006.

Markale Jean, Halloween. Storia e tradizioni, L’Età dell’Acquario, Torino 2005.

Propp Vladimir J., Russkie agrarnye prazdniki. Opyt istoriko-etnograficeskogo issledovanija, Izdatelʹstvo leningradskogo gosudarstvennogo universiteta, Leningrad 1963, tr. it. Feste agrarie russe. Una ricerca storico-etnografica, Dedalo, Bari 1993.

Thompson Stith, The Folktale, Holt, Rinehart and Winston, New York 1946, tr. it.La fiaba nella tradizione popolare, Il Saggiatore, Milano 2016.



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