24 mar 2014

Aspettando Bilbobul. Incontro con Gipi

L’ultima volta (ma anche la prima) che ho visto Gianni Gipi Pacinotti dal vivo è stata nel 2009 al Cortoonsfestival di Roma.
Una storia, Gipi

Allora era uscito da poco LMVDM – La mia vita disegnata male; Gianni lesse una parte del libro mentre sullo schermo scorrevano le tavole; fu accolto, come meritava, da risate e  commozione.
LMVDM ebbe parecchio successo (un fumettista ha successo quando lo legge gente che normalmente non legge fumetti), personalmente lo adorai e – assieme a Appunti per una storia di guerra – è ancora il suo libro che preferisco.

Sono passati gli anni( ben cinque) e nel 2013 è uscito Una storia, dopo un lunghissimo blocco creativo, frutto del lavoro di un anno e mezzo.


Ad oggi non ricordo di aver letto una singola recensione negativa di Una storia e il successo è diventato consacrazione (un fumettista è consacrato quando l’establishment mediatico gli riconosce una patente di opinionista valido).

Quando lo lessi però, nonostante il bellissimo colore a olio, ebbi una punta di delusione: la storia di Una storia mi sembrava un abbozzo e il suo acme emotivo si concentrava in una soluzione narrativa che avevo già visto.
Mi ero ripromessa di rileggerlo con più calma, poi non l’ho fatto e alla fine è arrivato il momento di Aspettando Bilbobul. E io ho scoperto di avere solo bisogno di un’esegesi.
Bilbobul, logo

L’incontro del 22 marzo scorso all’Accademia di Belle arti di Bologna, nell'ambito di Aspettando Bilbobul, è durato circa  2 ore, davanti a un pubblico folto.
Le domande dei relatori e del pubblico hanno fornito il giusto destro alle capacità narrative di Gipi, che ha parlato a lungo inserendo nelle risposte anche aneddoti intimi, confermando una capacità matura di raccontare, e esplicando i cardini esperienziali attorno ai quali ruota il suo lavoro d’autore.

Parlando di Una storia e del lungo periodo di blocco Gianni ha detto che iniziando la stesura “…non sapevo realmente dove sarei andato a parare, non l’ho saputo fino a due mesi dopo la pubblicazione”.
Poi l’interpretazione data da lettori e critici ha lasciato emergere un nodo, dal quale si sviluppa un’immagine ricorrente - quella dell’albero - e al quale soggiacciono i temi della vita che si ramifica nelle famiglie, della sopravvivenza a qualsiasi costo, del perpetrarsi come scopo dettato dai geni anche quando il desiderio di avere figli non è cosciente.

L'incontro del 22 marzo all'Accademia di belle arti, BO
L’immagine dell’albero si lega a un evento della sua storia personale: una visita in ospedale ad uno zio morente. Ci sono i figli con mogli e mariti e i nipoti, a loro volta sposati e con prole. L’uomo morente, rimpicciolito dalla vecchiaia, è come un seme piantato in quel letto, circondato dalle ramificazioni delle generazioni che ha iniziato.
L’impossibilità di avere figli, confessata già in passato da Gipi, diventa dolorosa, sentita come un rifiuto da parte della natura.
È la presenza di una voce estranea ( “la voce dei geni”) ad urlare in lui una sofferenza che appartiene all’animalità dell’uomo, alle esigenze di specie (nonostante lui stesso non abbia mai desiderato figli.); la stessa voce che provoca impulsi vitali (di desiderio sessuale, di gioia per essere sopravvissuti) anche nei momenti in cui si è a contatto con la morte (anche la morte di un amico o di un familiare), lasciando i postumi di una vergogna inestinguibile.

Oltre al discorso sul senso c’è spazio per discorsi sulla forma. Pur definendo se stesso come ignorante in quanto non lettore, Gipi ha una visione estetica della letteratura molto precisa.
Una storia, Gipi
Parla della sua evoluzione come disegnatore, della ricerca dell’essenziale perseguita con l’allenamento al disegno dal vero, ma soprattutto con l’allenamento all’osservazione della realtà esterna, rifiutando l’introspezione; coerentemente cita, come ispirazione per la sua scrittura, Raymond Carver (Di cosa parliamo quando parliamo d’amore), punto di riferimento di tutto il realismo minimale statunitense, e la prima parte della Trilogia della città di K. di Agota Kristof, dove i protagonisti ragazzini decidono di scrivere un diario elencando gli eventi quotidiani nel contesto della guerra. Quando decidono di dare delle regole alla loro scrittura cominciano ad eliminare tutto ciò che è superfluo: illazioni sulle intenzioni degli altri e sui sentimenti che li guidano, fino a lasciare su carta il fatto nudo e nient’altro.

L’incontro con Gipi  è stato registrato, vale la pena cercarlo per ascoltarlo integralmente.

Istruttivo per chi vuole dedicarsi alla ricerca artistica e narrativa (anche da chi ama altri generi: è questa la chiarezza e l’integrità di mezzi espressivi che andrebbe maturata); istruttivo anche per chi ha bisogno di trovare nel mondo la grazia, la bellezza e un impulso rinnovato al miglioramento personale.

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