13 feb 2013

Simona Vinci, Dei bambini non si sa niente

Dopo aver suscitato grande scalpore, il romanzo d'esordio della scrittrice milanese Simona Vinci, Dei bambini non si sa niente (Einaudi stile libero 1997), ha conquistato il favore di pubblico e critica ed è stato tradotto in dodici lingue.
Prima del successo, lo scandalo: Dei bambini non si sa niente è infatti un libro che stordisce, graffiato, sconvolgente, capace di svelare ai grandi ciò che hanno dimenticato: che l'infanzia conosce la violenza, non la sfugge anzi la perpetra con gusto, che i bambini sanno, vedono, bramano, toccano avidamente. Che i bambini hanno i loro desideri e pulsioni e che a volte si spingono oltre la siepe. Che i bambini conoscono il peccato e lo vogliono sopra tutto. Un peccato primordiale, antico: il peccato prima di tutto, perché il gioco stesso è un intreccio fatale tra desiderio e peccato. Un peccato che, come il gioco, ha molto a che fare con la carne e con la curiosità. 
L'autrice ci obbliga a un punto di vista dal basso, che rasenta oggetti, relazioni, intrecci di respiri, pensieri e parti anatomiche senza interpretarli o rinchiuderli in schemi teorici, e così ci guida alla scoperta del corpo come limite e come apertura, confine e possibilità, esplorazione immediata e messa in questione di quel luogo a lungo "abitato da soli".
Un gruppo di ragazzini di dieci anni nella periferia bolognese: ed è subito branco. C'è chi trascina e chi si lascia trascinare, chi comanda e chi prova gusto a seguire il capo. Tutti desiderano fortemente qualcosa, un posto tutto per sè, un rifugio e un giardino segreto. Una storia in cui il confine viene varcato, una storia di cattivo gusto, una storia che non fa sconti e ci dice quel che non vogliamo sentire: dei bambini, non si sa niente. 

«Era strano insegnar il proprio corpo a qualcuno. Non ci avevano mai pensati ai termini esatti con cui definire le cose, i meccanismi erano semplici reazioni a uno stimolo, erano gesti istintivi, che conoscevano da sempre e non avevano nessun nome, invece mentre li spiegavano agli altri, diventavano costruzioni sensate. Martina pensava al suo corpo, a questa cosa che aveva abitato da sola per un sacco di tempo e che adesso spartiva con gli altri. Gli insegnava le vie da seguire per arrivare nei posti giusti, lei lo sapeva dove stavano. E imparava, imparava cose su di sé, imparava i corpi degli altri che erano diversi e simili e che si incastravano col suo. Il male che sentiva alla volte, lo schifo, c'erano, semplicemente. Buono e cattivo, come a scuola, come a casa, come dappertutto». (p. 92)

Nata a Milano nel 1970, Simona Vinci vive nella provincia bolognese. Ha studiato Lettere Moderne all’Università di Bologna e con altri giovani scrittori fa parte della redazione di Incubatoio 16, rivista letteraria in Internet. E' la traduttrice di Virginie Despentes, di cui abbiamo parlato qui.
Bibligrafia di Simona Vinci: http://www.einaudi.it/libri/autore/simona-vinci/0000811
Pagina Wikipedia di Simona Vinci: http://it.wikipedia.org/wiki/Simona_Vinci

1 commento:

  1. Sinceramente dopo aver letto questo libro, sono caduti tutti i miei pensieri che avevo sempre costruito sui bambini.
    Che restano puri, ma quando il buio il mostro prende spazio nel loro mondo, allora tutto cambia.
    Un libro terribilmente crudele di una violenza psichica molto forte.
    Sinceramente brava l'autrice, ma a me ha lasciato un senso di nausea e di orrore dentro.
    Un libro che solo una persona adulta può leggere, sconsigliato ad dei bambini ed in particolare adolescenti che si affacciano al mondo dei grandi.
    Per finire non comprendo cosa può insegnare un racconto così terribile.
    Come se non bastasse già la vita che viviamo ogni giorno ad esserlo.

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